Matrici valutative

Roberta Rigo

Il dibattito valutativo

 

L’uso delle matrici per valutare le competenze si colloca nell’ambito del dibattito valutativo che si è sviluppato nel corso di questi ultimi vent’anni, in cui sono state messe in discussione le forme di valutazione usate tradizionalmente. L’approccio quantitativo alla valutazione ha creato una diffusa insoddisfazione, in particolare per le prove oggettive, allorché sono usate come unico e principale strumento di misurazione del rendimento.

 

Attualmente è in atto un notevole sforzo della ricerca per individuare strumenti e criteri che permettano di esprimere giudizi maggiormente fondati sulle reali capacità dell’allievo e che diano la possibilità di controllare la “costruzione” e lo “sviluppo” della conoscenza, la capacità «di pensiero critico, di soluzione dei problemi, di metacognizione, di efficienza nelle prove, di lavoro in gruppo, di ragionamento e di apprendimento permanente» (Arter & Bond, 1996).

Si va diffondendo la prospettiva di una valutazione autentica; alternativa che è stata avanzata da Wiggins (1993) ed indica una valutazione che intende verificare non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” in una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento.

Nell’ulteriore sviluppo di quest’ottica, riferiamo anche le parole di Tessaro (2011) sul valore della valutazione, che riprendono e vanno oltre Wiggins:

 

Date queste premesse, per una rappresentazione attendibile delle competenze raggiunte da un allievo occorrono

-         una pluralità di fonti informative;

-         più metodi valutativi;

-         una gamma variata di tipologie di prove, riferite a situazioni reali, rilevanti, motivanti;

-         testimonianze derivanti da diversi punti di vista;

-         la condivisone di aspetti (standard), su cui commisurare l’apprendimento, riferiti alla classe e non a norme;

-         maggiore enfasi sulla riflessione, sulla comprensione e sulla crescita.

Per inciso, non significa abbandonare le forme tradizionali o oggettive di valutazione, ma integrarle con altre fonti informative, con prove complesse, in cui l’allievo generalizza, trasferisce, utilizza la conoscenza acquisita in contesti reali e concreti. In sostanza si tratta di perseguire «una valutazione fondata sull’osservazione e sul giudizio»: si osservano i risultati di compiti di realtà, scelti proprio per la loro analogia con attività reali, e si dà valore al concetto di qualità ricorrendo ad indicatori che descrivono la qualità della prestazione.

Per rispondere a questo modo di valutare si ricorre a strumenti diversi, da usare in modo integrato, che consentono di raccogliere le necessarie informazioni: saggi, matrici/rubriche, osservazione diretta, intervista, colloquio insegnate/allievo, griglie di autovalutazione degli allievi o resoconti delle loro esperienze di apprendimento.

In questa nuova prospettiva trova ragione la predisposizione di matrici/rubriche.

Griglie  o  matrici?

 

In inglese la matrice valutativa è chiamata assessment rubric. La traduzione italiana rubrica” non è considerata appropriata dall’Accademia della Crusca.

In italiano, si può usare l’espressione

❑ griglia di valutazione, in cui ogni indicatore viene valutato sulla base di una scala ordinale (o categoriale ordinata) (es quantitativa: nulla-poco-abbastanza-molto-tutto; es temporale: mai-raramente-talvolta-frequentemente-spesso-sempre),

oppure l’espressione

❑ matrice valutativa, in cui ogni indicatore viene valutato confrontandolo con i descrittori di processo riportati all’interno di ciascuna casella.

La griglia di valutazione è un quadro di caselle vuote, che vanno barrate; la matrice valutativa è un quadro di caselle piene di descrittori che esemplificano lo stato dell’apprendimento dello studente.

 

Tessaro 2016/2017

Per riflettere

 

Uno spunto per riflettere sul mestiere dell'insegnante.  La narrazione apre una parentesi sulla valutazione e sulla riuscita scolastica, ma, soprattutto, sul modo di condurre le verifiche a scuola.

 

 

Romanzo "Solo se interrogato" di Domenico Starnone

 

Il rito scolastico non prendeva nemmeno in considerazione che la capacità di porre domande fosse importante. Così, ho difficoltà a individuare interrogativi. La mia reattività è addestrata soprattutto a rispondere. Il cervello mi sembra vuoto quando mi tocca la battuta iniziale.

 

    È passato del tempo, da allora, ma la scuola (al di là dei buoni propositi) seguita a interrogare senza farsi interrogare. Le sue ‘verifiche’, che siano aggiornatissime o si limitino a essere le vecchie interrogazioni di una volta, verificano sempre e solo risposte, d'altra parte obbligate dal fatto che devono essere quelle ‘giuste’. Siamo addestrati e addestriamo a perdere la capacità di porre ‘perché’, come se farlo fosse un insulto alla autorità dell'interlocutore.

 

    D'altronde gli stessi ‘perché’ infantili si vanno dissolvendo sempre più precocemente; i perché per cercare, per capire; i perché che per un po' gli adulti ritengono divertenti, poi soltanto fastidiosi, alla fine irritanti. Restano, al massimo, i perché-smorfie di bambini addestrati da genitori narcisisti ad apparire intelligenti. Sono gli unici perché che gli adulti tollerano: domande dell'esibizione per spostarsi in alto nella gerarchia vigente; domande sicure, di quelle che già hanno una risposta; l'unica giusta naturalmente.

Laboratorio RED

(Ricerca Educativa e Didattica)

Università Ca' Foscari di Venezia
Università Ca' Foscari di Venezia

Nuova Pubblicazione

 F. Tessaro (a cura di),

 Il curricolo verticale nella scuola del primo ciclo. Analisi, percorsi, strumenti

libreriauniversitaria.it, 2019

 

 

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